Lunga intervista concessa oggi da Juary alla Gazzetta dello Sport, a firma del giornalista irpino Giulio Di Feo. Il brasiliano ripercorre ancora una volta tutta la sua carriera, dagli inizi in Brasile al passaggio all'Avellino e poi all'Inter. Partendo dal famoso giro intorno alla bandierina dopo i gol: "Me la sono inventata dal nulla, volevo fare qualcosa di originale. E quando nel 2014 l’ha fatta Neymar mi sono sentito orgoglioso. Se uno dei più forti al mondo ti omaggia, vuol dire che un pezzettino di storia l’hai scritto anche tu".

"In Europa non volevo andare, neanche in Messico - racconta -. Dopo sei mesi sto per andare a casa in vacanza, ma mi dicono di prendere un aereo per l’Europa. “E che ci vado a fare?”. “Vieni con noi a vedere un calciatore, poi torni”.Va bene, partiamo. Scopro in volo che mi hanno venduto a una squadra che si chiama Avellino. Arrivo, la prima faccia che vedo è quella del commendator Sibilia, il presidente. “Io vi ho chiesto un calciatore, voi mi avete portato ‘no bambino”, disse. Non si fidava, poi ha imparato a farlo. Ed è stato come un padre. L'impatto con l'Italia è stato brutto, mi chiudevo in me, non sapevo cosa fare in ritiro. Esordii in Coppa Italic col Catania e segnai anche, ma stavo male".

Poi il ricordo del terremoto del 23 novembre 1980: "Cosa pensai? «Stanno bombardando Avellino.Sa, sulla collina di Montevergine c’era una base Nato con gli americani... Scappo in pigiama. Per strada persone che urlano, tutto distrutto dal terremoto. Mi preoccupo per i compagni, vado sotto l’hotel dove ci troviamo sempre, arrivano alla spicciolata e iniziamo a girare, ad aiutare chi è in difficoltà. Una signora riconobbe Di Somma. Le era appena crollata la casa, aveva perso tutto ma gli disse “Salvatò, che bella partita oggi”. Capisce? Di fronte a questa gente la forza per restare in A la dovevamo trovare. Facemmo una riunione: “Siamo fortunati, le nostre famiglie sono salve ma c’è chi le ha perse. Da oggi non si gioca più per noi, per lo stipendio o per la società. Si gioca per loro”. In campo ci sentivamo non undici ma migliaia, come gli irpini in difficoltà. Non c’è domani, ci ripetevamo, solo oggi. Contro il Catanzaro segnai e danzai attorno alla bandierina, e nel mentre pensavo che fosse come abbracciarli".

Poi il passaggio all'Inter non proprio fortunato: "Ad Avellino ero uno di loro, a Milano uno dei tanti".

Sezione: Ex biancoverdi / Data: Dom 05 gennaio 2025 alle 15:40
Autore: Domenico Fabbricini / Twitter: @Dfabbricini
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